martedì 14 giugno 2011

L'approccio STS alla telemedicina

Una guida alla lettura. All'interno del primo capitolo del libro "La telemedicina" curato da Silvia Gherardi e Antonio Strati, il paragrafo più rilevante è il quinto "Telemedicina e studio delle relazioni fra pratiche cliniche, sapere medico e tecnologie" che presenta alcuni degli assunti fondamentali dell'approccio che è stato poi applicato negli studi di caso illustrati nei capitoli successivi.
I primi quattro paragrafi sono comunque importanti perché rispondono ad alcune domande preliminari che riguardano il fenomeno della telemedicina: (a) cosa s'intende per telemedicina?... e si risponde con un quadro definitorio critico e articolato; (b) come ha funzionato la telemedicina dove è stata sperimentata e attuata?... e si presenta una rassegna sintetica degli studi di valutazione che hanno riguardato sperimentazioni e messa a regime di servizi di telemedicina; (c) quali sono le barriera all'introduzione della telemedicina?... e sistematizzano le principali problematiche che la telemedicina incontra sul terreno della implementazione.
Il capitolo, quinto, invece rimette in discussione l'impostazione degli studi presentati nei paragrafi precedenti e introduce l'approccio Science and Technologies Studies (STS). Tale approccio parte dalla critica del "determinismo tecnologico" e considera il rapporto tra società e tecnologica come una relazione di reciproca influenza a partire da tre assunti: (a) le tecnologie non sono "date", ma sono costruite socialmente; (b) le tecnologie non sono neutre in termini etici e di potere; (c) le tecnologie non sono mai complete ed autonome, poiché vengono interpretate nel corso del loro uso. A partire da questi semplici assunti si presentano dettagliatamente sei questioni chiave - emergenti dalla rassegna sulla letteratura che rientra in questo filone di ricerca - relative al rapporto tra pratiche cliniche, sapere medico e tecnologie:

  1. Le modalità attraverso sui le tecnologie influenzano e modificano i modi di produrre le decisioni mediche.
  2. Le modalità in cui le tecnologie vengono traslate in pratica nei contesti d'uso.
  3. Le interferenza prodotte dalle tecnologie con le pratiche lavorative esistenti e con gli altri artefatti tecnologico in uso.
  4. L'effetto di decontestualizzazione del corpo.
  5. Le problematiche relative alla stabilizzazione e all'allineamento di elementi eterogenei all'interno delle dinamiche organizzative.
  6. La rinegoziazione dei rapporti tra saperi, campi disciplinari e spazi di potere.
A partire da queste tematiche che si sviluppano gli studi di caso presentati nei capitoli successivi e affrontati con l'approccio STS.

sabato 11 giugno 2011

Studio di caso: teledermatologia

Un po' di telemedicina. Il primo esempio concreto di servizio di telemedicina che abbiamo affrontato è stato quello della teledermatologia. Per avvicinarci all'approccio sociologico alla telemedicina, abbiamo utilizzato i risultati della ricerca di Maggie Mort, Carl R. May e Tracy William dal titolo "Remote Doctors and Absent Patients: Acting at a Distance in Telemedicine?" (pubblicato nel n. 28/2003 della rivista scientifica Science, Technology & Human Values, pp. 274-295). La ricerca analizza l'introduzione di un servizio di teledermatologia in Gran Bretagna (vedi presentazione sotto).
Nella progettazione del servizio era stato previsto che un infermiere scattasse delle foto alle lesioni del paziente, compilasse un questionario e inviasse dati e immagini per via telematica al "dermatologo remoto". Sulla base delle informazioni ricevute, il dermatologo remoto avrebbe diagnosticato e indicato il percorso di cura da seguire. La tecnologia prevedeva un copione su come si sarebbero dovuti comportare i suoi utilizzatori, ma nell'uso concreto emerse che per ottenere delle diagnosi affidabili gli infermieri non potevano limitarsi a fotografare, raccogliere ed inviare dati. L'idea incorporata nel disegno della tecnologia prescindeva da tutta una serie di operazioni implicite nelle pratiche lavorative connesse al consulto dermatologico. Per questo si rendevano necessarie delle pratiche compensative da parte del personale infermieristico e la forzatura del sistema stesso per renderlo compatibile con la pratica di funzionamento del servizio.


Lo studio di caso ci permette di sottolineare alcuni aspetti critici:

  • la difficoltà a rilevate e incorporare nell'organizzazione delle pratiche lavorative le attività "occulte" richieste al personale clinico per accordare le tecnologie con le pratiche di lavoro sedimentate che non sono completamente formalizzate;
  • la redistribuzione della expertise tra le differenti figure professionali che partecipano alla produzione del servizio medico (in particolare medici, infermieri, tecnici);
  • la rinegoziazione dei rapporti tra sapere e potere, soprattutto nella gestione dei margini di incertezza;
  • la necessità dell'emergere del "paziente competente" al quale si chiede di partecipare alle scelte mediche.
Si tratta di temi centrali nell'introduzione di innovazioni tecnologiche che richiedono un cambiamento organizzativo nelle pratiche lavorative.

domenica 5 giugno 2011

Artefatto tecnologico come strumento

Premesse per parlare di tecnologie. Riprendiamo qui un passaggio concettuale importante introdotto due lezioni fa che riguarda il meccanismo logico che porta l'artefatto tecnologico a diventare uno strumento. Tale passaggio si realizza nel corso dell'attività, in quanto lo strumento è tale in funzione di ciò su cui esso permette di agire, sia esso il mondo materiale (in questo caso si parla di utensili), sia esso il mondo psichico (in questo caso si parla di segni). Ciò prevede che si costituisca sempre una triade tra il soggetto, lo strumento e l'oggetto, in cui lo strumento svolge un'attività di mediazione tra soggetto e oggetto.
Ricordiamo che le attività di mediazione che gli strumenti svolgono per le attività umane hanno “orientamenti” diversi che possono essere ricondotti a tre tipi fondamentali, ognuno con due qualificazioni diverse.
I tre tipi orientamenti sono:
  1. verso l'oggetto dell'attività;
  2. verso altri soggetti, in questo caso si parla di mediazione interazionale;
  3. verso se stesso, in questo caso di parla di mediazione riflessiva.
Mentre le due qualificazioni che emergono nell'uso dello strumento sono:
  • la mediazione epistemica: quando lo strumento è il mezzo che permette a chi lo usa di conoscere l'oggetto o un altro soggetto (il senso della mediazione è verso il soggetto che agisce lo strumento);
  • la mediazione pragmatica: lo strumento è il mezzo che permette a chi lo usa di agire su l'oggetto o un altro soggetto (il senso della mediazione è verso l'oggetto o il soggetto che subisce lo strumento).
Queste tipologie, oltre a fornire la strumentazione analitica per studiare la tecnologia-in-uso, ci permette di enfatizzare l'assunto che il significato di una tecnologia emerge dal suo uso pratico e dal contesto relazionale in cui è impiegata: verso chi o cosa é diretto e con quali finalità si agisce lo strumento.

giovedì 2 giugno 2011

Organizzazione e lavoro

Ancora vocabolario alla mano. La sinossi del volume curato da Silvia Gherardi e Antonio Strati spiega che la "telemedicina è un termine che rimanda all'uso di tecnologie informatiche e di telecomunicazione al fine di erogare servizi sanitari a distanza" e aggiunge che "studiando le pratiche lavorative e organizzative in cui la telemedicina è attività quotidiana, si osservano però forme e significati differenti che la caratterizzano in maniera specifica e distintiva in relazione ai particolari contesti organizzativi esaminati". Quello di comprendere queste differenze sarà l'intendo delle nostre lezioni quando cominceremo ad occuparci degli studi di caso proposti nel volume. Prima, però, è necessario continuare un lavoro preliminare di chiarimento concettuale a partire da due concetti di base che sono chiamati in causa in questo percorso: quello di "lavoro" e quello di "organizzazione". Dizionario alla mano - come abbiamo già fatto nel precedente post - assumiamo come definizione sociologica di lavoro:
Un'attività intenzionalmente diretta, mediante un certo dispendio di tempo e di energia, a modificare in un determinato modo le proprietà di una qualsiasi risorsa materiale o simbolica onde accrescerne l'utilità per sé e per altri, col fine ultimo di trarre da ciò, in via mediata o immediata, dei mezzi di sussistenza (Gallino, 2004, p. 397)
 Nel caso, invece, del termine organizzazione in sociologia sono in uso almeno tre principali accezioni diverse:
(1) per designare l'attività diretta di proposito a stabilire, mediante norme esplicite, relazioni relativamente durevoli tra un complesso di persone e di cose in modo da renderlo idoneo a conseguire razionalmente uno scopo; (2) per designare l'entità concreta che risulta da una tale attività [...]; (3) per designare la struttura delle principali relazioni formalmente previste e codificate entro una istituzione formale, le quali sono soltanto una parte delle relazioni che li costituiscono (Gallino, 2004, p. 475).
Siamo di fronte a definizione che includono fenomeni sociali molto ampi e diversificati che quindi vanno specificati con maggiore precisione nella pratica di ricerca.

mercoledì 1 giugno 2011

Tecnica e tecnologia

Questioni di vocabolario. La seconda parte del corso sarà dedicata allo studio della telemedicina, con l'approfondimento di alcuni studi di caso che ci serviranno per comprendere il rapporto tra tecnologia, organizzazione e pratiche lavorative nel campo medico-assistenziale.
Prima di inoltrarci in questo campo teorico, è opportuno introdurre le definizioni sociologiche di "tecnica" e "tecnologia" per delimitare i primi confini del nostro percorso di studio. Per far questo, mi servo di una tecnologia tradizionale, un dizionario, in particolare faccio riferimento al Dizionario di sociologia di Luciano Gallino (Utet, Torino, 2004).
Il primo termine che definiamo è "tecnica". Secondo il Dizionario citato, per la sociologia con questo termine s'intende:
Complesso più o meno codificato di norme e modi di procedere, riconosciuto da una collettività, trasmesso o trasmissibile per apprendere, elaborare allo scopo di svolgere una data attività manuale o intellettuale di carattere ricorrente. Quando lo scopo d'una tecnica è la produzione d'un oggetto materiale, o comunque d'un fenomeno fisico il termine designa al tempo stesso i modi di procedere e gli strumenti comunemente usati da una certa popolazione per conseguire quello scopo (Gallino, 2004, p. 690).
Il termine tecnica è strettamente connesso a quello di tecnologia, infatti già nella definizione di tecnica si legge:
La totalità delle tecniche praticate da una popolazione, a un certo stadio di sviluppo sociale, per affrontare i propri bisogni materiali è detta dagli antropologi culturali e da una minoranza di sociologi, tecnologia (Gallino, 2004, p. 691).
Questa idea di tecnologia indica un'accezione specifica che non si adatta bene all'idea che utilizzeremo in seguito nel nostro corso che invece rientra nella definizione generale di tecnologia che è la seguente:
Impiego, applicazione sistematica di conoscenze scientifiche avanzate, in riferimento a un dato livello di sviluppo economico e socio-culturale, al fine di raggiungere in modo efficiente ed uniforme determinati risultati pratici nella sfera della produzione, della distribuzione, dei trasporti, delle comunicazioni, dei servizi, dell'educazione; razionalizzazione per tal via dello sforzo lavorativo, ovvero del rapporto uomo/natura. Per estensione sono detti tecnologia i mezzi materiali e immateriali che sono in prodotto tangibile di codesta attività applicativa. La tecnologia non va confusa con la tecnica: la tecnologia è lo studio e la razionalizzazione mediante la scienza delle più diverse tecniche. Tramite la tecnica la scienza diventa un fattore di produzione (Gallino, 2004, p. 699).
In prima approssimazione queste definizioni possono essere sufficienti.

sabato 28 maggio 2011

Avalutatività delle scienze sociali

Di ritorno dalla lezione sei. Abbiamo concluso la prima parte del corso dedicata all'inquadramento scientifico disciplinare della sociologia. L'ultimo tema affrontato è stato quello del rapporto tra scienza e politica. Lo abbiamo fatto partendo dal punto di vista di un autore classico che ormai abbiamo imparato a conoscere: Max Weber nelle sue due lezioni "La scienza come professione. La politica come professione" (pubblicate in italiano da Einaudi, 2004).
Weber sviluppa una riflessione sul rapporto e le divisioni di compiti esistenti tra l'attività scientifica e quella politica: l'Autore si confronta con la crisi dell'illusione della ragione positivista (che aveva abbattuto la razionalità tradizionale che univa conoscenza, verità e l'idea del bene e del giusto) e prende atto dell'esistenza nelle società moderne di uno scontro tra valori in contrasto e irriducibili tra di loro. In questa situazione - definita di "politeismo disincantato" - Weber ritiene necessario definire il ruolo dello scienziato sociale e della scienza sociale in relazione a quelli della politica e del poitico: la scienza deve essere avalutativa applicandosi nella conoscenza della società con rigore metodologico e senso di responsabilità. Lo scienziato sociale deve però essere consapevole che non può considerarsi un astratto osservatore, ma al contrario deve sempre tener conto che esso è parte del mondo che osserva e, quindi,  deve sempre conservare la consapevolezza della parzialità del suo punto di vista e dei valori di cui è portatore. Alla domanda "cosa deve fare la scienza sociale e cosa non deve fare?" Weber sostiene che la scienza deve fornire supporti tecnici per comprendere e per decidere, deve indicare cosa è possibile fare e quali sono le relative conseguenze; la scienza però non può dire quale è la scelta migliore in un'alternativa tra valori. Questo compito va lasciato alla politica che sviluppa un'etica dei principi, vale a dire che fa scelta di valori rispetto ai quali agisce in coerenza, e si assume la responsabilità delle sue scelte.
L'idea weberiana di avalutatività delle scienze storico-sociali è un contributo di grande rilevanza per quella che Arnaldo Bagnasco chiama la "ragione sociologica". Si tratta di un'idea che s'inserisce nel suo più vasto approccio teorico e metodologico di Weber che trova la sua più sistematica organizzazione nella raccolta di saggi dal titolo Il metodo delle scienze storico-sociale (Einaudi, 2003).

giovedì 26 maggio 2011

Giddens e il rapporto micro-macro

Note di ripasso. Nelle precedenti lezioni, ci siamo soffermati sulla distinzione teorica tra gli approcci microsociologici e quelli macrosociologici e dei rapporti che vengono costruiti tra la dimensione del sistema sociale e quella dell'interazione sociale.
L'approccio che abbiamo ripreso per comprendere meglio i rapporti tra la dimensione micro e quella macro della società è quello sviluppato dal sociologo britannico Anthony Giddens all'interno della Teoria della strutturazione. Il volume in cui è stata sviluppata questa prospettiva teorica è The Constitution of Society del 1984 (tradotto in italiano nel 1990 da Einaudi con il titolo La costituzione della società. Lineamenti di teoria della strutturazione). Un punto di particolarmente interessante per il nostro corso è la spiegazione della microfondazione dell'integrazione sociale: l'ordine sociale - secondo Giddens - si produce e si riproduce nell'interazione diretta in situazione, attraverso il meccanismo della routinizzazione della vita quotidiana. Giddens ritiene che le attività quotidiane apprese e ripetute per abitudine sono fondamentali per l'ordine sociale complessivo. In questo approccio Giddens riprende alcuni sociologi che si sono occupati dell'interazione sociale e della vita quotidiana quali Erving Goffman e Harold Garfinkel (morto il 21 aprile di questo anno, e noto per aver fondato l'approccio della Etnometodologia). Gli incontri e le routine quotidiane si basano su un consenso concettuale latente che funziona come meccanismo di conservazione della fiducia, su cui si basa l'idea della "sicurezza ontologica":
Il confidare che il mondo naturale e quello sociale sono come appaiono essere, compresi i parametri esistenziali essenziali del sé e della propria identità sociale (Giddens A., La costruzione della società, Einaudi, 1990, p. 375)
La società si struttura come effetto macro delle interazioni sociali dirette in situazione.

mercoledì 25 maggio 2011

Generi sociologici

Schema di ripasso lezione cinque. All'interno della disciplina sociologica si possono distinguere alcuni "generi" che si pongono obiettivi conoscitivi diversi e pertanto adottano approcci teorici e metodologie di ricerca differenti.
Partendo dal contributo del sociologo francese Raymond Boudon del 2002 dal titolo Sociology That Really Matters. European Academy of Sociology, si può utilizzare una tipologia di generi sociologici, composta da quattro tipi. Si tratta di generi che nella pratica di ricerca sociologica vengono spesso utilizzati insieme, in differenti fasi della ricerca empirica e della riflessione teorica, ma che tuttavia rispondono ad domande di ricerca differenti e che risulta utile distinguere analiticamente:
  • Sociografia: è il genere che risponde alla domanda di come è fatto un fenomeno sociale e si occupa di descrivere i caratteri significativi dell'oggetto di ricerca, di rilevare informazioni e dati, di produrre tipologie.
  • Analisi sociologica: è il genere che risponde alla domanda del perché si verifica un determinato fenomeno sociale; ricerca i rapporti di causalità tra fenomeni e si preoccupa della spiegazione.
  • Critica sociale: è invece il genere interessato al significato dei fenomeni sociali, pertanto si propone di elaborare delle interpretazioni, a partire da una posizione critica e con una prospettiva valutativa.
  • Sociologia applicata: è, infine, il genere che si propone di applicare la teoria e la metodologia della ricerca sociologica alla risoluzione di problemi concreti e alla gestione di situazioni sociali complesse, rispondendo alla domanda "che fare?".
Vediamo uno schema sintetico:

    domenica 22 maggio 2011

    Due paradigmi per spiegare la società

    Quinta lezione ripasso. Secondo lo schema proposto dal nostro testo di riferimento, il problema della spiegazione dei fenomeni sociali può essere affrontato a partire da due principali approcci in senso metodologico.
    Il primo dei due approcci è il paradigma olistico (detto anche causalista o positivista) che trova le sue origini nel lavoro classico di Emile Durkheim Les Règles de la Methode Sociologique (1894). Il sociologo deve - secondo Durkheim - occuparsi di fatti sociali, cercando di determinare i rapporti di causalità tra fatti sociali. Questa prospettiva prevede di definire dei caratteri del fenomeno sociale in oggetto che siano osservabili e misurabili, tali da essere sottoposti all'analisi statistica. Quando l'analisi statistica evidenzia delle associazioni significative tra variabili, si procede alla individuazione dei nessi di causalità e alla spiegazione della relazione osservata. Il materiale empirico su cui si basa la spiegazione nel paradigma olistico è prodotto principalmente attraverso dati rilevati con survey elaborati con tecniche di analisi statistica.
    Il secondo approccio è il paradigma dell'azione e si basa sull'idea che i fenomeni sociali vadano spiegati come aggregazione di azioni individuali in determinate situazioni sociali. In questo approccio è previsto sempre un momento di osservazione fenomenologica dell'azione individuale in determinate situazioni. La spiegazione passa attraverso l'individuazione del meccanismo sociale che struttura il fenomeno emergente al quale è interessato il ricercatore.
    Un esempio di come funziona il paradigma dell'azione è quello dello studio condotto da James S. Coleman e dai suoi collaboratori sui meccanismi che spiegano l'introduzione di nuovi medicinali nelle pratiche mediche (Medical Innovation. A Diffusion Study, 1966). Lo studio evidenzia che la velocità d'introduzione di un nuovo medicinale dipende dal tipo di situazione in cui si trovano ad operare i medici: negli ospedali dove la prossimità fisica permette una più rapida circolazione delle informazioni, l'introduzione è più rapida rispetto agli studi privati dei medici di base che lavorano in isolamento (vedi Grafico sotto).

    mercoledì 18 maggio 2011

    La drammaturgia di Goffman

    Un passo avanti nel ripasso. Nell'ambito della microsociologia, un importante filone di studi che abbiamo affrontato è quello dell'interazionismo simbolico, in cui si colloca la ricerca del sociologo di origine canadese Erving Goffman. L'interazione sociale - secondo Goffman - può essere studiata utilizzando la metafora del teatro. Il richiamo alla drammaturgia, infatti, è utile per comprendere che quando i soggetti interagiscono, si impegnano nel controllo delle impressioni, ovvero si adoperano a mettere in scena una rappresentazioni di se stessi tale da produrre nelle persone con cui si sta interagendo un'impressione che vada a proprio vantaggio. La metafora drammaturgina, inoltre, permette di distinguere tra due momenti: quello della "ribalta", in cui l'attore si mette in scena con un copione a cospetto di spettatori; e quello del "retroscena", in cui in assenza del pubblico l'attore non ha più bisogno del controllo delle impressioni e può uscire dal personaggio per essere se stesso e anche per aggiustare e mettere a punto le sue rappresentazioni. Questa tesi è stata esposta nel famoso libro The Presentation of Self in Everyday Life del 1959 (tradotto in italiano da Il Mulino con il titolo La vita quotidiana come rappresentazione). In questo approccio di analisi, i ruoli sociali hanno un carattere situazionale e l'interazione segue delle forme di ritualità in una pratica di rappresentazione del sé che Goffman chiama "giochi di faccia" (una serie di studi sul questi aspetti sono proposti nel volume Interaction Ritual: Essays in Face-to-Face Behavior, 1967). Tuttavia è opportuno sottolineare che l'interesse cardine di Goffman è sempre quello di comprendere come l'attore sociale riesce a manipolare il contesto di una determinata situazione.

    lunedì 16 maggio 2011

    La visione del Sé

    Ripasso. Il nostro approccio alle teorie microsociologiche è cominciato con l'introduzione di un concetto base: la visione del Sé di George Herbert Mead - psicologo sociale statunitense - che rappresenta un concetto fondamentale su cui si fonda l'interazionismo simbolico.
    La visione di Mead del Sé, espressa nell'opera Mind, Self and Society (University of Chicago Press, 1934), supera il modello classico di stimolo-risposta per diventare un processo sociale, in cui l'attore sociale agisce in base all'interpretazione che egli dà della situazione. Ricordiamo per inciso a tale proposito il cosiddetto teorema di Thomas di cui abbiamo già parlato nei post precedenti.
    Il Sé dell'attore sociale si compone di due momenti: del Me che è il riflesso di come l'individuo si percepisce in base agli atteggiamenti e comportamenti degli altri nei suoi confronti; mentre l'altro momento è l'Io vale a dire la risposta che l'individuo elabora, in termini di azione, in base all'interpretazione del Me. Da una parte, quindi, il Me produce socializzazione dell'individuo, dall'altra l'Io genera elementi di creatività e originalità nell'azione individuali. Lo studio dell'evoluzione del nella crescita degli individui conduce, inoltre, il nostro autore ad introdurre il concetto di "altro generalizzato", come elemento indicativo della maturità del , vale a dire la maturazione di una struttura di risposte comuni e condivise da tutti i membri della stessa comunità.

    sabato 14 maggio 2011

    Tassonomie per orientarsi

    Lezione quattro. Le tassonomie sono strumenti cognitivi utilizzati per classificate e categorizzare un insieme di cose.
    Nel nostro caso abbiamo introdotto tassonomie per organizzare e mettere ordine nell'insieme delle teorie sociologiche. In primo luogo abbiamo distinto tra "campo teorico" e "ambiente teorico":

    • Campo teorico: si tratta dell'insieme di teorie accomunate dal punto di vista dell'oggetto di ricerca, del contenuto sostantivo, per questo si indicano anche con l'espressione teorie sostantive.
    • Ambiente teorico: è l'insieme delle teorie che si differenziano per la prospettiva generale che adottano per guardare alla società nel suo insieme e alle sue parti, con specifici strumenti di indagine, assunzioni di metodo e pretese di conoscenza; vengono anche definite teorie metodologiche.
    Sempre in riferimento alla teoria sociologica abbiamo distinto tra "macrosociologia" e "microsociologia":

    • Macrosociologia: indica l'insieme delle teorie che si occupano dell'organizzazione sociale, delle strutture sociali, delle istituzioni sociali, del sistema sociale e delle sue parti.
    • Microsociologia: comprende l'insieme delle teorie che si occupano dell'interazione sociale, dell'attore sociale, della situazione e dell'azione sociale.
    L'introduzione di queste categorie è utile per orientarsi all'interno della storia del pensiero sociologico: ci fornisce una sorta di "bussola cognitiva". A questo punto possiamo inoltrarci nel campo delle teorie e degli approcci di ricerca microsociologici, come abbiamo cominciato a fare nella seconda parte della quarta lezione.

    sabato 7 maggio 2011

    La corrosione del carattere

    Ritorno sui temi performativi. A proposito di "individualizzazione" e teoria sociologica contemporanea, in aula abbiamo richiamato la tesi dell'americano Richard Sennett della corrosione del carattere come principale conseguenza dello sviluppo del nuovo capitalismo flessibile. Questa tesi è stata sviluppata nel libro The Corrosion of Character: The Personal Consequences of Work in the New Capitalism del 1998 e tradotto in italiana con il titolo L'uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale (Feltrinelli, 1999, oggi in versione economica).
    L'analisi del sociologo americano parte dall'osservazione di un cambio di paradigma nel sistema capitalistico, segnato dall'enfasi rivolta alla flessibilità del lavoro e delle organizzazioni produttive. Il lavoro flessibile, in particolare, non produce più carriere professionali lineari e coerenti, piuttosto sequenze di spezzoni di lavoro giustapposti uno dopo l'altro, non necessariamente coerentemente. Ciò comporta tra le altre conseguenze personali una confusione nel "carattere" degli individui, che va inteso in questo senso:
    Il "carattere" indica soprattutto i tratti permanenti della nostra esperienza emotiva, e si esprime attraverso la fedeltà e l'impegno reciproco, o nel tentativo di raggiungere obiettivi a lungo termine, o nella pratica di ritardare soddisfazioni in vista di uno scopo futuro. Insomma, tra la moltitudine dei sentimenti in cui tutti noi ci troviamo costantemente immersi, siamo sempre impegnati nel tentativo di salvarne e rafforzarne qualcuno. Sono questi sentimenti che confermati che plasmeranno il nostro carattere, definendo i tratti  personali a cui attribuiamo valore di fronte a noi stessi e in base ai quali ci sforziamo di essere valutati da parte degli altri. (Sennett, 1999, p. 10)
    Il "carattere" definito in questo modo è sottoposto a corrosione dalla sviluppo del nuovo capitalismo flessibile perché in un'economia che ruota intorno al breve periodo è più difficile perseguire obiettivi di lungo periodo e mantenere fedeltà e impegni reciproci all'interno di organizzazioni produttive che vengono continuamente ristrutturate. A livello personale diventa sempre meno possibile decidere quale dei nostri tratti  merita di essere conservato all'interno di una società impaziente che si concentra sul momento.

    mercoledì 4 maggio 2011

    Parsons: qualche nota in più

    Ripasso. Nel corso delle precedenti lezioni, trattando del tema della "differenziazione", abbiamo introdotto il pensiero di Talcott Parsons e del suo approccio sistemico allo studio della società.  Si tratta di un autore classico della storia del pensiero sociologico e il principale esponente della teoria "struttural-funzionalista". La sua produzione teorica è stata molto vasta e complessa, per questo - in supporto a quanto già riportato nel nostro testo di riferimento - aggiungo di seguito pochi e semplici schemi di riepilogo dei principali strumenti analitici elaborati da Parsons, con l'intenzione di facilitarne la comprensione.

    sabato 30 aprile 2011

    Le teorie sociali

    Lezione tre. Il nostro testo ci dice che "una teoria è un modo per fare ordine nella percezione del mondo" e che i sociologici, rispetto ad altri scienziati, hanno un lavoro più complicato "perché c'è di mezzo l'uomo con la sua intelligenza, la capacità di cambiare le condizioni in cui opera, la possibilità di scelta" (Bagnasco, Prima lezione di sociologia, p. 77).  Questo ce lo siamo già detti! Le novità che invece abbiamo cominciato a vedere riguardano alcuni approcci più rilevati nella storia del pensiero sociologico, ricorrendo ad una tipologia che ci ha condotti ad affrontare il tema della sociologia storica.
    L'esempio che abbiamo ripreso per affrontare il tema della sociologia storica è lo studio classico di Max Weber - autore già ampiamente citato nelle lezioni precedenti - dal titolo L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, pubblicato per la prima volta in tedesco nel 1905. La ricerca di Weber mette in connessione le trasformazioni del sistema di produzione economico con dei fenomeni di natura culturale che riguardano la religione. In particolare l'etica protestante viene indicata come fattore causale autonomo della nascita del capitalismo, concentrandosi sull'idea espressa dal termine Beruf che comprende insieme i significati di "professione" e "vocazione": l'attività professionale, quindi, acquista il significato religioso della vocazione, come chiamata e predestinazione da parte di un Dio. Da qui lo sviluppo di una forte disciplina individuale che si esprime principalmente nell'impegno professionale e nell'etica del lavoro.

    sabato 16 aprile 2011

    I temi performativi della disciplina

    Lezione due. Con l'introduzione dei "temi performativi" siamo entrati in quella che Arnaldo Bagnasco nel secondo capitolo del suo libricino chiama "la società dei sociologi".
    Abbiamo fatto una prima immersione in quattro tematiche che attraversano e strutturano la teoria sociologica, appoggiandoci all'occorrenza ai "maestri del pensiero sociologico" (riprendo il titolo del libro di Lewis A. Coser, Masters of Sociological Thought: Idea in Historical and Social Context, la cui traduzioni in italiano è purtroppo fuori commercio).
    Le tematiche sono:

    • Differenziazione
    • Razionalizzazione
    • Individualizzazione
    • Stratificazione
    Tematiche complicate che richiederanno un altro po' di approfondimento nella prossima lezione per mettere in evidenza, oltre alla loro concettualizzazione, gli sviluppi più recenti della ricerca teorica che le ha riguardate.
    Ritorniamo però all'inizio, alla scelta di utilizzare la locuzione di "temi performativi". Il termine performativo è stato "importato" dalla linguistica che - ricordiamo - è la disciplina che studia il linguaggio; con esso si intende che l'atto linguistico non solo descrive il fenomeno, ma lo pone in essere. "Fare cose con le parole" è l'insegnamento della teoria degli atti linguistici di John Langshaw Austin nel suo libro How To Do Things with Words (Clarendon Press, 1962).

    Nel laboratorio del prof. Merton

    Lezione uno e mezzo. Abbiamo assunto all'inizio del corso che la sociologia è la disciplina che permette di produrre informazioni allargate e attendibili su fenomeni sociali di cui sempre meno gli individui hanno esperienza diretta nelle società complesse. Essa, inoltre, consente di elaborare interpretazioni e spiegazioni delle cause e delle possibili evoluzioni dei fenomeni indagati.
    La sociologia - abbiamo argomentato - è una scienza empirica e il carattere che distingue la produzione della conoscenza sociologica da quella che un singolo individuo produce autonomamente nella sua vita sociale sta nel metodo utilizzato per generarla. E quindi  la rilevanza dell'approfondimento della metodologia della ricerca sociale. Qui si colloca l'insegnamento di un altro classico della storia del pensiero sociologico: Robert K. Merton, a cui il nostro testo di riferimento dedica la seconda parte del primo capitolo con un'incursione ideale nel suo laboratorio.
    Tra i diversi contributi originali di Merton a cui si fa riferimento, particolare rilevanza va data al suo approccio di ricerca teso a costruire "Teorie di medio raggio" con cui s'intende:
    Teorie intermedie fra le ipotesi di lavoro che formulano abbondantemente durante la routine quotidiana della ricerca e le speculazioni onnicomprensive basate su uno schema concettuale centrale, da cui si spera di derivarne un largo numero di uniformità di comportamento sociale empiricamente osservabili (Robert K. Merton, Teoria e struttura sociale, il Mulino, Bologna, 1966, p. 13)
    In altri termini, non una teoria che spiega tutta la società nel suo insieme, ma una parte del comportamento sociale che si manifesta con regolarità e che può essere sottoposta ad osservazione empirica.

    PS: Tra gli studi che ha condotto Robert K. Merton, uno ha riguardato proprio gli studenti di medicina; i risultati di ricerca sono stati pubblicati nel volume The Student-Physician: Introductory Studies in the Sociology of Medical Education (ed. by R.K. Merton, G.G. Reader, P.L. Kendall, Harvard University Press, 1957) che rimane uno studio fondamentale per il paradigma "medico-sociale".

    lunedì 11 aprile 2011

    Si comincia!

    Cronaca del calcio d'inizio. Prima lezione del corso di "Sociologia generale": dopo qualche prima indicazione organizzativa si comincia con l'introduzione ad una prima idea di sociologia, aiutandosi con un libro considerato ormai un classico della disciplina, "L'immaginazione sociologica" di Wright C. Mills. Si ricostruiscono poi i caratteri del contesto storico e filosofico in cui nasce la sociologia, tracciando i confini con le altre scienze umane e sociali e le differenze epistemologiche con le scienze naturali.
    In una rapida incursione nella storia del pensiero sociologico dei classici, ci si sofferma sull'idea della "sociologia come scienza della società" di Auguste Comte, per poi passare all'approccio storico-comparato di Max Weber, e soffermarsi infine sullo studio dei "fatti sociali" proposto da Emile Durkheim, con il rimando alla ricerca classica sul rapporto tra suicidio ed anomia. Sulle spalle dei giganti del pensiero classico, si affrontano i primi nodi teorici e metodologici fondativi della disciplina. C'è spazio anche per introdurre e dibattere qualche nozione specifica, come quella del cosiddetto "Teorema di Thomas":
    Se gli uomini definiscono reali certe situazioni, esse saranno reali nelle loro conseguenze (William Thomas, 1928).
    Il tempo è così finito. A questo punto bisogna mettersi a studiare, leggendo con attenzione il capitolo 1 del libro di Arnaldo Bagnasco, in attesa di discuterne insieme.