Nella progettazione del servizio era stato previsto che un infermiere scattasse delle foto alle lesioni del paziente, compilasse un questionario e inviasse dati e immagini per via telematica al "dermatologo remoto". Sulla base delle informazioni ricevute, il dermatologo remoto avrebbe diagnosticato e indicato il percorso di cura da seguire. La tecnologia prevedeva un copione su come si sarebbero dovuti comportare i suoi utilizzatori, ma nell'uso concreto emerse che per ottenere delle diagnosi affidabili gli infermieri non potevano limitarsi a fotografare, raccogliere ed inviare dati. L'idea incorporata nel disegno della tecnologia prescindeva da tutta una serie di operazioni implicite nelle pratiche lavorative connesse al consulto dermatologico. Per questo si rendevano necessarie delle pratiche compensative da parte del personale infermieristico e la forzatura del sistema stesso per renderlo compatibile con la pratica di funzionamento del servizio.
Lo studio di caso ci permette di sottolineare alcuni aspetti critici:
- la difficoltà a rilevate e incorporare nell'organizzazione delle pratiche lavorative le attività "occulte" richieste al personale clinico per accordare le tecnologie con le pratiche di lavoro sedimentate che non sono completamente formalizzate;
- la redistribuzione della expertise tra le differenti figure professionali che partecipano alla produzione del servizio medico (in particolare medici, infermieri, tecnici);
- la rinegoziazione dei rapporti tra sapere e potere, soprattutto nella gestione dei margini di incertezza;
- la necessità dell'emergere del "paziente competente" al quale si chiede di partecipare alle scelte mediche.
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