martedì 14 giugno 2011

L'approccio STS alla telemedicina

Una guida alla lettura. All'interno del primo capitolo del libro "La telemedicina" curato da Silvia Gherardi e Antonio Strati, il paragrafo più rilevante è il quinto "Telemedicina e studio delle relazioni fra pratiche cliniche, sapere medico e tecnologie" che presenta alcuni degli assunti fondamentali dell'approccio che è stato poi applicato negli studi di caso illustrati nei capitoli successivi.
I primi quattro paragrafi sono comunque importanti perché rispondono ad alcune domande preliminari che riguardano il fenomeno della telemedicina: (a) cosa s'intende per telemedicina?... e si risponde con un quadro definitorio critico e articolato; (b) come ha funzionato la telemedicina dove è stata sperimentata e attuata?... e si presenta una rassegna sintetica degli studi di valutazione che hanno riguardato sperimentazioni e messa a regime di servizi di telemedicina; (c) quali sono le barriera all'introduzione della telemedicina?... e sistematizzano le principali problematiche che la telemedicina incontra sul terreno della implementazione.
Il capitolo, quinto, invece rimette in discussione l'impostazione degli studi presentati nei paragrafi precedenti e introduce l'approccio Science and Technologies Studies (STS). Tale approccio parte dalla critica del "determinismo tecnologico" e considera il rapporto tra società e tecnologica come una relazione di reciproca influenza a partire da tre assunti: (a) le tecnologie non sono "date", ma sono costruite socialmente; (b) le tecnologie non sono neutre in termini etici e di potere; (c) le tecnologie non sono mai complete ed autonome, poiché vengono interpretate nel corso del loro uso. A partire da questi semplici assunti si presentano dettagliatamente sei questioni chiave - emergenti dalla rassegna sulla letteratura che rientra in questo filone di ricerca - relative al rapporto tra pratiche cliniche, sapere medico e tecnologie:

  1. Le modalità attraverso sui le tecnologie influenzano e modificano i modi di produrre le decisioni mediche.
  2. Le modalità in cui le tecnologie vengono traslate in pratica nei contesti d'uso.
  3. Le interferenza prodotte dalle tecnologie con le pratiche lavorative esistenti e con gli altri artefatti tecnologico in uso.
  4. L'effetto di decontestualizzazione del corpo.
  5. Le problematiche relative alla stabilizzazione e all'allineamento di elementi eterogenei all'interno delle dinamiche organizzative.
  6. La rinegoziazione dei rapporti tra saperi, campi disciplinari e spazi di potere.
A partire da queste tematiche che si sviluppano gli studi di caso presentati nei capitoli successivi e affrontati con l'approccio STS.

sabato 11 giugno 2011

Studio di caso: teledermatologia

Un po' di telemedicina. Il primo esempio concreto di servizio di telemedicina che abbiamo affrontato è stato quello della teledermatologia. Per avvicinarci all'approccio sociologico alla telemedicina, abbiamo utilizzato i risultati della ricerca di Maggie Mort, Carl R. May e Tracy William dal titolo "Remote Doctors and Absent Patients: Acting at a Distance in Telemedicine?" (pubblicato nel n. 28/2003 della rivista scientifica Science, Technology & Human Values, pp. 274-295). La ricerca analizza l'introduzione di un servizio di teledermatologia in Gran Bretagna (vedi presentazione sotto).
Nella progettazione del servizio era stato previsto che un infermiere scattasse delle foto alle lesioni del paziente, compilasse un questionario e inviasse dati e immagini per via telematica al "dermatologo remoto". Sulla base delle informazioni ricevute, il dermatologo remoto avrebbe diagnosticato e indicato il percorso di cura da seguire. La tecnologia prevedeva un copione su come si sarebbero dovuti comportare i suoi utilizzatori, ma nell'uso concreto emerse che per ottenere delle diagnosi affidabili gli infermieri non potevano limitarsi a fotografare, raccogliere ed inviare dati. L'idea incorporata nel disegno della tecnologia prescindeva da tutta una serie di operazioni implicite nelle pratiche lavorative connesse al consulto dermatologico. Per questo si rendevano necessarie delle pratiche compensative da parte del personale infermieristico e la forzatura del sistema stesso per renderlo compatibile con la pratica di funzionamento del servizio.


Lo studio di caso ci permette di sottolineare alcuni aspetti critici:

  • la difficoltà a rilevate e incorporare nell'organizzazione delle pratiche lavorative le attività "occulte" richieste al personale clinico per accordare le tecnologie con le pratiche di lavoro sedimentate che non sono completamente formalizzate;
  • la redistribuzione della expertise tra le differenti figure professionali che partecipano alla produzione del servizio medico (in particolare medici, infermieri, tecnici);
  • la rinegoziazione dei rapporti tra sapere e potere, soprattutto nella gestione dei margini di incertezza;
  • la necessità dell'emergere del "paziente competente" al quale si chiede di partecipare alle scelte mediche.
Si tratta di temi centrali nell'introduzione di innovazioni tecnologiche che richiedono un cambiamento organizzativo nelle pratiche lavorative.

domenica 5 giugno 2011

Artefatto tecnologico come strumento

Premesse per parlare di tecnologie. Riprendiamo qui un passaggio concettuale importante introdotto due lezioni fa che riguarda il meccanismo logico che porta l'artefatto tecnologico a diventare uno strumento. Tale passaggio si realizza nel corso dell'attività, in quanto lo strumento è tale in funzione di ciò su cui esso permette di agire, sia esso il mondo materiale (in questo caso si parla di utensili), sia esso il mondo psichico (in questo caso si parla di segni). Ciò prevede che si costituisca sempre una triade tra il soggetto, lo strumento e l'oggetto, in cui lo strumento svolge un'attività di mediazione tra soggetto e oggetto.
Ricordiamo che le attività di mediazione che gli strumenti svolgono per le attività umane hanno “orientamenti” diversi che possono essere ricondotti a tre tipi fondamentali, ognuno con due qualificazioni diverse.
I tre tipi orientamenti sono:
  1. verso l'oggetto dell'attività;
  2. verso altri soggetti, in questo caso si parla di mediazione interazionale;
  3. verso se stesso, in questo caso di parla di mediazione riflessiva.
Mentre le due qualificazioni che emergono nell'uso dello strumento sono:
  • la mediazione epistemica: quando lo strumento è il mezzo che permette a chi lo usa di conoscere l'oggetto o un altro soggetto (il senso della mediazione è verso il soggetto che agisce lo strumento);
  • la mediazione pragmatica: lo strumento è il mezzo che permette a chi lo usa di agire su l'oggetto o un altro soggetto (il senso della mediazione è verso l'oggetto o il soggetto che subisce lo strumento).
Queste tipologie, oltre a fornire la strumentazione analitica per studiare la tecnologia-in-uso, ci permette di enfatizzare l'assunto che il significato di una tecnologia emerge dal suo uso pratico e dal contesto relazionale in cui è impiegata: verso chi o cosa é diretto e con quali finalità si agisce lo strumento.

giovedì 2 giugno 2011

Organizzazione e lavoro

Ancora vocabolario alla mano. La sinossi del volume curato da Silvia Gherardi e Antonio Strati spiega che la "telemedicina è un termine che rimanda all'uso di tecnologie informatiche e di telecomunicazione al fine di erogare servizi sanitari a distanza" e aggiunge che "studiando le pratiche lavorative e organizzative in cui la telemedicina è attività quotidiana, si osservano però forme e significati differenti che la caratterizzano in maniera specifica e distintiva in relazione ai particolari contesti organizzativi esaminati". Quello di comprendere queste differenze sarà l'intendo delle nostre lezioni quando cominceremo ad occuparci degli studi di caso proposti nel volume. Prima, però, è necessario continuare un lavoro preliminare di chiarimento concettuale a partire da due concetti di base che sono chiamati in causa in questo percorso: quello di "lavoro" e quello di "organizzazione". Dizionario alla mano - come abbiamo già fatto nel precedente post - assumiamo come definizione sociologica di lavoro:
Un'attività intenzionalmente diretta, mediante un certo dispendio di tempo e di energia, a modificare in un determinato modo le proprietà di una qualsiasi risorsa materiale o simbolica onde accrescerne l'utilità per sé e per altri, col fine ultimo di trarre da ciò, in via mediata o immediata, dei mezzi di sussistenza (Gallino, 2004, p. 397)
 Nel caso, invece, del termine organizzazione in sociologia sono in uso almeno tre principali accezioni diverse:
(1) per designare l'attività diretta di proposito a stabilire, mediante norme esplicite, relazioni relativamente durevoli tra un complesso di persone e di cose in modo da renderlo idoneo a conseguire razionalmente uno scopo; (2) per designare l'entità concreta che risulta da una tale attività [...]; (3) per designare la struttura delle principali relazioni formalmente previste e codificate entro una istituzione formale, le quali sono soltanto una parte delle relazioni che li costituiscono (Gallino, 2004, p. 475).
Siamo di fronte a definizione che includono fenomeni sociali molto ampi e diversificati che quindi vanno specificati con maggiore precisione nella pratica di ricerca.

mercoledì 1 giugno 2011

Tecnica e tecnologia

Questioni di vocabolario. La seconda parte del corso sarà dedicata allo studio della telemedicina, con l'approfondimento di alcuni studi di caso che ci serviranno per comprendere il rapporto tra tecnologia, organizzazione e pratiche lavorative nel campo medico-assistenziale.
Prima di inoltrarci in questo campo teorico, è opportuno introdurre le definizioni sociologiche di "tecnica" e "tecnologia" per delimitare i primi confini del nostro percorso di studio. Per far questo, mi servo di una tecnologia tradizionale, un dizionario, in particolare faccio riferimento al Dizionario di sociologia di Luciano Gallino (Utet, Torino, 2004).
Il primo termine che definiamo è "tecnica". Secondo il Dizionario citato, per la sociologia con questo termine s'intende:
Complesso più o meno codificato di norme e modi di procedere, riconosciuto da una collettività, trasmesso o trasmissibile per apprendere, elaborare allo scopo di svolgere una data attività manuale o intellettuale di carattere ricorrente. Quando lo scopo d'una tecnica è la produzione d'un oggetto materiale, o comunque d'un fenomeno fisico il termine designa al tempo stesso i modi di procedere e gli strumenti comunemente usati da una certa popolazione per conseguire quello scopo (Gallino, 2004, p. 690).
Il termine tecnica è strettamente connesso a quello di tecnologia, infatti già nella definizione di tecnica si legge:
La totalità delle tecniche praticate da una popolazione, a un certo stadio di sviluppo sociale, per affrontare i propri bisogni materiali è detta dagli antropologi culturali e da una minoranza di sociologi, tecnologia (Gallino, 2004, p. 691).
Questa idea di tecnologia indica un'accezione specifica che non si adatta bene all'idea che utilizzeremo in seguito nel nostro corso che invece rientra nella definizione generale di tecnologia che è la seguente:
Impiego, applicazione sistematica di conoscenze scientifiche avanzate, in riferimento a un dato livello di sviluppo economico e socio-culturale, al fine di raggiungere in modo efficiente ed uniforme determinati risultati pratici nella sfera della produzione, della distribuzione, dei trasporti, delle comunicazioni, dei servizi, dell'educazione; razionalizzazione per tal via dello sforzo lavorativo, ovvero del rapporto uomo/natura. Per estensione sono detti tecnologia i mezzi materiali e immateriali che sono in prodotto tangibile di codesta attività applicativa. La tecnologia non va confusa con la tecnica: la tecnologia è lo studio e la razionalizzazione mediante la scienza delle più diverse tecniche. Tramite la tecnica la scienza diventa un fattore di produzione (Gallino, 2004, p. 699).
In prima approssimazione queste definizioni possono essere sufficienti.

sabato 28 maggio 2011

Avalutatività delle scienze sociali

Di ritorno dalla lezione sei. Abbiamo concluso la prima parte del corso dedicata all'inquadramento scientifico disciplinare della sociologia. L'ultimo tema affrontato è stato quello del rapporto tra scienza e politica. Lo abbiamo fatto partendo dal punto di vista di un autore classico che ormai abbiamo imparato a conoscere: Max Weber nelle sue due lezioni "La scienza come professione. La politica come professione" (pubblicate in italiano da Einaudi, 2004).
Weber sviluppa una riflessione sul rapporto e le divisioni di compiti esistenti tra l'attività scientifica e quella politica: l'Autore si confronta con la crisi dell'illusione della ragione positivista (che aveva abbattuto la razionalità tradizionale che univa conoscenza, verità e l'idea del bene e del giusto) e prende atto dell'esistenza nelle società moderne di uno scontro tra valori in contrasto e irriducibili tra di loro. In questa situazione - definita di "politeismo disincantato" - Weber ritiene necessario definire il ruolo dello scienziato sociale e della scienza sociale in relazione a quelli della politica e del poitico: la scienza deve essere avalutativa applicandosi nella conoscenza della società con rigore metodologico e senso di responsabilità. Lo scienziato sociale deve però essere consapevole che non può considerarsi un astratto osservatore, ma al contrario deve sempre tener conto che esso è parte del mondo che osserva e, quindi,  deve sempre conservare la consapevolezza della parzialità del suo punto di vista e dei valori di cui è portatore. Alla domanda "cosa deve fare la scienza sociale e cosa non deve fare?" Weber sostiene che la scienza deve fornire supporti tecnici per comprendere e per decidere, deve indicare cosa è possibile fare e quali sono le relative conseguenze; la scienza però non può dire quale è la scelta migliore in un'alternativa tra valori. Questo compito va lasciato alla politica che sviluppa un'etica dei principi, vale a dire che fa scelta di valori rispetto ai quali agisce in coerenza, e si assume la responsabilità delle sue scelte.
L'idea weberiana di avalutatività delle scienze storico-sociali è un contributo di grande rilevanza per quella che Arnaldo Bagnasco chiama la "ragione sociologica". Si tratta di un'idea che s'inserisce nel suo più vasto approccio teorico e metodologico di Weber che trova la sua più sistematica organizzazione nella raccolta di saggi dal titolo Il metodo delle scienze storico-sociale (Einaudi, 2003).

giovedì 26 maggio 2011

Giddens e il rapporto micro-macro

Note di ripasso. Nelle precedenti lezioni, ci siamo soffermati sulla distinzione teorica tra gli approcci microsociologici e quelli macrosociologici e dei rapporti che vengono costruiti tra la dimensione del sistema sociale e quella dell'interazione sociale.
L'approccio che abbiamo ripreso per comprendere meglio i rapporti tra la dimensione micro e quella macro della società è quello sviluppato dal sociologo britannico Anthony Giddens all'interno della Teoria della strutturazione. Il volume in cui è stata sviluppata questa prospettiva teorica è The Constitution of Society del 1984 (tradotto in italiano nel 1990 da Einaudi con il titolo La costituzione della società. Lineamenti di teoria della strutturazione). Un punto di particolarmente interessante per il nostro corso è la spiegazione della microfondazione dell'integrazione sociale: l'ordine sociale - secondo Giddens - si produce e si riproduce nell'interazione diretta in situazione, attraverso il meccanismo della routinizzazione della vita quotidiana. Giddens ritiene che le attività quotidiane apprese e ripetute per abitudine sono fondamentali per l'ordine sociale complessivo. In questo approccio Giddens riprende alcuni sociologi che si sono occupati dell'interazione sociale e della vita quotidiana quali Erving Goffman e Harold Garfinkel (morto il 21 aprile di questo anno, e noto per aver fondato l'approccio della Etnometodologia). Gli incontri e le routine quotidiane si basano su un consenso concettuale latente che funziona come meccanismo di conservazione della fiducia, su cui si basa l'idea della "sicurezza ontologica":
Il confidare che il mondo naturale e quello sociale sono come appaiono essere, compresi i parametri esistenziali essenziali del sé e della propria identità sociale (Giddens A., La costruzione della società, Einaudi, 1990, p. 375)
La società si struttura come effetto macro delle interazioni sociali dirette in situazione.